Il segno tangibile della resa di Este a Venezia è la privatizzazione del Castello: venduto ad un nobile veneziano che ne fa il suo giardino privato, attorno ad un palazzo aperto sul centro della città.
A partire dal 1570, acquistata l'area del castello, i nobili veneziani Mocenigo iniziano la costruzione del grande palazzo, formato da due corpi a L, simmetricamente disposti sul fronte urbano delle mura del castello e in asse con l'ingresso al Parco del Castello medioevale.
Il corpo orientale, quello alla destra del portale di accesso agli odierni giardini pubblici del Castello, viene distrutto da un incendio nel 1700 e il palazzo viene abbandonato, sino all'acquisto da parte del Comune, nel 1887 dell'intero complesso del Castello. Sin da allora il Palazzo e il Giardino hanno ospitato moltissimi eventi di livello nazionale.
Riappropriatasi del ''suo'' Castello, quasi a segnare un cambio di classe, alla porta del Palazzo la Città inaugura inaugura nel 1906 un monumento al "Bardo della democrazia", Felice Cavallotti, il garibaldino mazziniano, retore e scrittore, fondatore dell'estrema sinistra storica, poi confluita nel Partito radicale, allora da pochi anni ucciso in duello con un giornalista conservatore.
La relazione tra le Mura del Castello e il Palazzo Mocenigo, poco percepibile sia dalla strada che dall'interno del Parco, mostra chiaramente come l'antico castrum che racchiudeva una piccola città, sia stato ridotto ad un giardino di pertinenza di un'importante residenza nobiliare.
Dal cortile interno appare chiaramente come Palazzo Mocenigo non sia una villa: la nobile severità del Palazzo cinquecentesco indica l'impronta urbana e non di villeggiatura che i Mocenigo vogliono dare al loro soggiorno estense, qualificando la città con cui sono in stretto contatto.
Il Palazzo è costruito sulle mura medioevali del Castello carrarese, che perdono così il carattere solo difensivo e diventano un tratto stilistico della nuova architettura. All'interno tre saloni del piano nobile conservano affreschi seicenteschi, con soggetti mitologici e allegorici entro finte architetture, attribuiti a Giulio Carpioni o a pittori emiliani dell'epoca.